La scorsa settimana ho introdotto il tema della competenza, del saper fare una cosa in vari contesti, quando a cambiare è tutto quello che circonda il nostro “compito” motorio.
E negli articoli già presenti su questo blog, ho nominato più volte la variabilità degli stimoli di movimento come un elemento importante per la riabilitazione, la prevenzione e il benessere del nostro corpo.
In questo modo però, posso aver creato della confusione nell’utilizzo dell’espressione “variabilità di movimento”.
In questo articolo andremo quindi a chiarire questa differenza, e l’importanza che hanno entrambi i concetti in riabilitazione e in una sana abitudine di movimento.
Stesso obiettivo, diverse strade
Nel 1967, Nicolai Bernstein, decise di studiare il movimento del fabbro che batte col martello sull’incudine, indagando le variazioni tra una ripetizione e l’altra. I risultati che ottenne dimostravano una “ripetizione senza ripetizione”, ovvero una variabilità molto bassa nel punto finale di battuta del martello, mentre il movimento delle articolazioni coinvolte nel gesto variava molto di più.
Per molti decenni successivi a questo studio si è pensato che quella variabilità articolare fosse un ostacolo alla buona riuscita del movimento, e potesse anche giocare un ruolo nello sviluppo del dolore.
E perché dovrebbe?
C’è una certa logica in questa supposizione:
“Se non c’è variabilità, allora la mia efficacia è massima, non spreco energie con movimenti non funzionali al mio risultato.“
È un buon ragionamento, se parliamo di macchine. Ma l’essere umano è un sistema biologico, e i sistemi biologici hanno sviluppato una capacità fondamentale per l’evoluzione: l’adattamento.
E già qui, per esempio, la variabilità tra una ripetizione e l’altra nel caso del fabbro, potrebbe rappresentare il range di movimenti ottimali per eseguire il compito, senza stereotipia e senza sovraccaricare il sistema sempre con lo stesso movimento, esattamente identico.
Per fare un altro paragone, pensiamo all’automobile: se fossimo capaci di fare una curva sempre e solo nello stesso modo, questo sarebbe limitante perché ci permetterebbe di guidare solo nel momento in cui siamo soli e possiamo fare la nostra traiettoria precisa, rendendoci invece estremamente difficile guidare in condizioni normali, con altre auto, moto, bici, pedoni e animali intorno a noi.
Inoltre non riusciremmo ad adattarci alle varie condizioni della strada: piccole buche, strada sporca o bagnata.
Per questo motivo in realtà come l’ha definita Latash nel 2012, la variabilità nel movimento è una benedizione, non un problema. È l’abbondanza di possibilità.
Per questo non ci dovremmo accanire sul movimento perfetto, sulla precisione del gesto, su cos’è giusto e cosa sbagliato.
Ognuno di noi può arrivare allo stesso risultato facendo un percorso diverso e rimanendo comunque efficace nell’esecuzione del movimento.
Anzi, come dice Ben Cormack, fisioterapista tra i maggiori esponenti dello studio e del trattamento del dolore cronico:
“Chi si muove meglio è chi può eseguire più volte con successo lo stesso movimento, in vari modi differenti, che dipendono dai vincoli del contesto e della performance”.
Non so voi, ma personalmente, non solo in qualità di fisioterapista, trovo incoraggiante considerare che le diverse modalità per raggiungere un obiettivo possano essere considerate tutte valide. Che non ci sia un solo unico modo uguale per tutti di fare le cose.
Parlando di mal di schiena inoltre, voglio riportare i risultati di due studi che ci danno informazioni importanti in termini di variabilità.
Uno studio di Seay e colleghi del 2011, ha indagato la cinematica del tronco e del bacino durante la camminata e la corsa (ovvero come questi distretti si muovono, o non si muovono, durante il gesto).
I partecipanti allo studio comprendevano tre gruppi di corridori:
- un gruppo con sintomi moderati di mal di schiena;
- un gruppo che ha recuperato da un episodio acuto di mal di schiena;
- un gruppo che non mai avuto un singolo episodio di mal di schiena.
I primi due gruppi hanno riportato una minore variabilità nel movimento del tronco e del bacino, risultati che possono predisporre a un deficit nella performance e ad un aumento del rischio di nuovi episodi di mal di schiena in futuro.
L’altro studio, di Falla e colleghi, del 2014, ha indagato sulle differenze tra un gruppo di persone con dolore lombare cronico e un gruppo equivalente per età e genere, che non presentava sintomi.
Tra le varie misurazioni effettuate troviamo: la quantità di movimento, e, attraverso l’elettromiografia (EMG) l’attivazione muscolare durante il movimento.
Il compito consisteva nel sollevamento di una scatola, ripetuto più volte.
Il gruppo che presentava sintomi di dolore lombare ha riportato un minore movimento della colonna e un’area ridotta di attivazione negli estensori della colonna: mentre il gruppo di controllo attivava in sequenza tutte le varie porzioni muscolari, il gruppo con i sintomi attivava sempre la stessa, riducendo di molto la variabilità.
Alla luce di questo, sembra ragionevole considerare la ridotta variabilità come indice di ridotta funzione, e di conseguenza, come un limite, non come una risorsa.
Ok, molto interessante. Ma se questa è la variabilità di movimento, quando parli di “vari stimoli di movimento”, sono cose diverse?
Giusta osservazione. E la risposta è un classico del mondo della riabilitazione: dipende.
Come si può ritrovare nel link all’inizio dell’articolo, quando vario il contesto attorno ad un movimento, vado esattamente a stimolare il tipo di variabilità che abbiamo descritto. Il risultato finale rimane, quello che cambia è cosa fanno i muscoli, le articolazioni e in generale come il sistema si organizza per arrivare a quel risultato.
Quando invece dico che è importante “usare” il corpo in modo diverso, intendo un’altra cosa.
Quello che ho studiato e vissuto finora mi porta a credere che il movimento umano possa essere molto più vario, complesso e variabile di quello che una persona mediamente vive. Questo perché varie sono le funzioni per le quali il nostro movimento si è sviluppato durante l’evoluzione.
Quindi, trovo che dare stimoli di movimento diversi al nostro corpo, come camminare, correre, saltare, lanciare, arrampicarsi, muoversi a quattro zampe, rotolare, sollevare, ballare, lottare (non picchiarsi, lottare è un gioco), sia una strategia migliore di muoversi seguendo esclusivamente le traiettorie di una macchina, molto spesso prive di una qualsiasi applicazione funzionale.
E allenare questa variabilità non può essere benefico per la variabilità di cui parlavi prima?
Al momento non ci sono abbastanza conoscenze per poter correlare in modo diretto questi due fattori, anche se istintivamente è facile pensare che possano influenzarsi a vicenda.
Ma anche se non fosse così, hanno una loro indipendente importanza per la nostra salute.
Ricapitolando:
- La variabilità nel movimento consiste nelle differenze tra le esecuzioni di uno stesso gesto, che permettono di ottenere lo stesso efficace risultato;
- È stata considerata un problema, ma è positivo che ci sia, ci da più possibilità;
- Una minore variabilità è stata associata alla presenza di condizioni dolorose e a un maggiore rischio di svilupparle;
- Dare vari stimoli di movimento diversi è in linea con le funzioni del movimento umano.
Grazie di essere arrivati fin qui, alla prossima!